10 / 12 / 2013

Il futuro della comunicazione nel mondo vitivinicolo

Intervista al Dott. Paolo Panerai from SGA Wine design on Vimeo.

Il nome di Paolo Panerai suggerisce grandi successi in diversi settori dell’informazione, ma anche in ambiti d’eccellenza come la produzione vinicola. Come nasce la passione per il vino?

La passione per il vino è una cosa reale, autentica e che nasce da bambino, avendo sempre vissuto in campagna nella grande casa di mio nonno, con tutta la famiglia, a Firenze. Quando c’è stata la possibilità, abbiamo deciso di ritornare in Toscana in una zona che ci piaceva molto, quella del Chianti, ed abbiamo cercato un’azienda. Siamo stati fortunati: dopo un giorno di ricerca l’abbiamo trovata, è stato come un primo amore.  Non è stata secondaria l’amicizia e il rapporto professionale con Luigi Veronelli; ci eravamo incontrati a Panorama e, quando abbiamo fatto la casa editrice (Class Editori), ha cominciato a scrivere per le nostre riviste. Prima, ancora insieme, avevamo fatto una rivista che si chiamava L’Etichetta. Quindi ho avuto la fortuna di poter avvicinare la passione per il vino e la conoscenza del vino attraverso il più grande scrittore e filosofo del vino; intenditore, che mai ha accettato di fare degustazioni bendate, perché è il complesso del vino, che dà l’idea della qualità o della gradevolezza o il suo contrario, attraverso la bottiglia, attraverso l’etichetta, attraverso il sapere da dove proviene; che è l’espressione, e la sintesi di tanti fattori, compreso il territorio.

Grazie. Ha già anche in parte risposto a quella che pensavo quale seconda domanda: ci sono anche altre persone, altre figure che hanno influito in questo percorso oltre a Luigi Veronelli?

Sicuramente l’esempio di alcuni grandi produttori di vino toscani, ma non solo… Antinori, Frescobaldi… Riflettere sul fatto che sono secoli che queste famiglie continuano a produrre vino e sulla continuità della vita delle loro famiglie, attraverso la prosecuzione dell’attività vitivinicola; ma nello stesso tempo anche il ‘mondo nuovo’.  Proprio con Luigi Veronelli facemmo un giro importante in America negli anni settanta quando il mondo intero stava scoprendo la California, in particolare Napa Valley; l’incontro con personaggi come Robert Mondavi, Tim il figlio enologo oppure Michael, che fa la distribuzione, sono stati molto di stimolo. Però quello che più di tutti ha influito su di me è stato Edmond de Rothschild con cui eravamo diventati soci in un’azienda di importazione e tecnologia del vino francese. Edmond è sempre stato separato dalla banca francese - suo padre aveva creato una banca in Svizzera - ed è sempre stato però il maggiore azionista (ora lo è suo figlio Benjamin), di Chateau Lafite, pur non potendo contare in Chateau Lafite. Quindi si era messo in testa di creare lo Chateau Lafite degli anni 2000.  Ha comprato un’azienda che si chiama Chateau Clarke, poi purtroppo è morto e non ha potuto realizzare l’obiettivo, ma ebbe l’amicizia di invitarci con Luigi Veronelli e con Maurizio Castelli, che allora era il nostro enologo nell’azienda in Chianti (Castellare) e lì avemmo la fortuna di poter parlare per due giorni interi con il più grande enologo degli ultimi 100 anni Emile Peynaud, professore all’Università di Bordeaux, che mi aiutò a capire che valeva la pena - idea che Veronelli aveva già radicata - puntare sui vitigni autoctoni e quindi, nel caso specifico per la Toscana, sul Sangiovese invece di fare dei Supertuscan mischiando con i vitigni internazionali.

Rocca di Frassinello

Il vino è un prodotto sempre più in evoluzione e distinto dalle altre categorie. Come si comunicava in passato? Come si comunica oggi? E, soprattutto, si comunicherà secondo lei in futuro?

Prima si comunicava con la fame, perché è stato un prodotto alimentare e portatore di calorie in una dieta che era molto povera. Il vino serviva per questo per cui era la pancia che programmava la comunicazione del vino. Via, via che il livello di vita anche degli italiani, ma non solo, si è elevato, le calorie si trovavano da altre parti. Man mano che si è ragionato sul fatto che il vino, oltre un certo limite non è più un piacere o un prodotto positivo, ma può diventare negativo, si è sempre più sviluppata la sensibilità alla qualità, più che alla quantità. Si sono verificati fenomeni rivoluzionari per un’enologia e una viticoltura basata sulla quantità, come era stata per lungo tempo in Italia; un po’ meno in Francia dove avevano cercato la selezione fin dal 1855, grazie alla classificazione fatta da Napoleone III: vigneti da estirpare, concetti da ricomunicare, etc.  Adesso la comunicazione punta essenzialmente su due valori: la qualità e la genuinità, dove per genuinità si passa facilmente al discorso di una produzione biologica quasi al 100%. Purtroppo la vite, come tanti altri vegetali, ha problemi di malattie molto frequenti, quindi se uno non vuole distruggere il vigneto, qualche intervento deve farlo.  Di questo valore sono stato convinto fin dall’inizio, tant’è vero che nell’etichetta dei vini di Castellare abbiamo sempre messo i disegni di John Gould con gli uccelli, andando a cercare quelli che sono sempre più rari - perché per lungo tempo si è fatto abuso, nella vigna, della chimica di sintesi - quando invece è possibile avere un equilibrio usando prodotti più naturali come il verde rame, etc… che quindi preservano la qualità. Questi sono i due filoni, naturalmente poi alla comunicazione si aggiunge tutto il resto. Non si può vendere solo una bottiglia di vino, ma bisogna vendere il territorio e bisogna utilizzare i valori del territorio, soprattutto perché nel frattempo molti altri paesi che non erano produttori di vino, si sono messi a produrre vino e non essendo una tecnologia difficilissima da acquisire, producono anche dei buoni vini. La differenza, quindi, per i vini italiani, la fa la descrizione complessiva del vino insieme al territorio, l’offerta che il territorio può dare, l’accoglienza, le degustazioni e tutto quello che ne consegue.

Baglio del sole

Il progetto architettonico della cantina è ormai diventato un elemento di comunicazione che contribuisce all’affermazione del valore di marca. Che significato ha secondo Lei questa leva?

È una leva a doppio uso, come tutte le medaglie che hanno due risvolti: l’armonia architettonica della cantina può aiutare a valorizzare il vino, ma se in seguito il valore architettonico della cantina supera quello del prodotto e quindi la gente si interessa più della cantina che al vino, viene a cadere l’efficacia di questa scelta. Per quello che ci riguarda, con un grandissimo architetto, mio grande amico da tanti anni Renzo Piano, abbiamo fatto una cantina che rimanesse con ‘i piedi per terra’, per così dire, tenendo conto che una cantina è uno luogo di produzione.  Quindi, a cominciare dalla scelta dei materiali, come il cemento ‘faccia a vista’, alle linee architettoniche, siamo stati d’accordo fin dall’inizio che dovesse essere, appunto, uno stabilimento funzionale, con il valore architettonico che può dare uno straordinario artista come Renzo Piano. Ormai il filone è lungo e ci sono cantine degli architetti un po’ in tutto mondo; sono molti i casi, diciamo, prevaricanti sul valore del vino.

Baglio close up

Nella storia dei suoi vini c’è la prestigiosa joint venture con Domaines Barons de Rothschild in cui in soli due anni il grande vino Rocca di Frassinello 2004, premiato subito con due bicchieri Gambero Rosso, che con l’annata 2006 diventano tre e Tre Stelle Veronelli. Una ricerca continua mirata all’eccellenza. Cosa significa per lei eccellenza?

Intanto, è stata proprio la vecchia amicizia con Edmond de Rothschild che ha creato la congiunzione con i cugini, quelli che gestiscono Chateau Lafite e in particolare con Eric. Questa relazione è stata poi cementata dal fatto che loro, come banca, sono stati i nostri advisor per la quotazione in Borsa della casa editrice; quindi c’è stato un incontro proprio fra attività editoriale, attività finanziaria e vino. Eric è una persona molto curiosa, ci siamo trovati un giorno in Maremma a pranzo dal Gambero Rosso - che adesso non ha più come protagonista Fulvio Pierangelini - e gli ho raccontato che avevo comprato un podere non lontano da lì, per il fatto che in Chianti è molto difficile trovare terreni e ci sono anche vincoli molto forti. Quindi c’era stato questo spostamento verso la Maremma dove c’erano più terreni. Siamo andati sul posto e visto che c’era un pezzetto di vigna con curiosità ha detto: ‘Il vino dov’è?’ ‘Il vino non lo so dov’è perché lo fa il contadino. Non so neanche che vitigni ci sono dentro’. Invece lo ha voluto assaggiare e con l’understatement che lo contraddistingue ha detto: ‘Ah, che buono questo vino, etc’… dice: ‘Ma quanti ettari sono qua?’ E io ho detto: ‘Sono 50 ettari’. ‘50 ettari non ci si fa niente perché il vino, detto in francese: c’est une affaire foncière, quindi bisogna avere molti più ettari, se metti insieme almeno 500 ettari possiamo fare una società’. E così è nata la società e c’è stata la prima joint venture fra l’Italia e la Francia, che sono i due più grandi paesi produttori del mondo, sia per quantità che per qualità e la ricerca dell’eccellenza era implicita. All’inizio hanno lavorato insieme i due enologi: l’enologo di Lafite e l’enologo nostro Alessandro Cellai, che ormai è un gigante di questo mondo. I vini sono decollati molto prima di quando si potesse pensare, in questo caso diciamo proprio nel rispetto della joint venture dei due paesi mettendo insieme i vitigni autoctoni quindi ancora il Sangiovese con i vitigni internazionali, francesi. La ricerca però non finisce mai…

L'Eterno

Quale importanza ha la vestizione di un vino nel determinarne il successo?

Direi che, per quanto ci riguarda, è stata importantissima e, credo, lo sia per tutti. Quando siamo usciti - adesso c’è qualche abuso, qualche copiatura, della nostra etichetta iniziale di Castellare - l’idea di usare i disegni bellissimi di Gould che è stato un grande ornitologo, e legarlo a questo principio della tutela, del territorio e della fauna con un’attenzione in vigna: non usare i prodotti chimici, che poi sono quelli che distruggono la fauna oltre a non fare bene a chi beve il vino, è stato molto caratterizzante.  Per lungo tempo abbiamo sentito dire: “ah questo è il vino con le etichette degli uccelli”.  È fondamentale affidarsi a dei professionisti; per me quella prima etichetta è stata un lungo lavoro insieme con un grafico intelligente che avevo quando ero direttore del ‘Mondo’, ma poi, per proseguire sempre a un livello elevato bisogna avere una qualità grafica che esprima quello che è il valore del vino, che gli si vuol dare. Quindi se un vino punta sull’eleganza come filosofia da perseguire, bisogna che le etichette siano estremamente eleganti e che rimangano in mente. È come se avvenisse una sorta di fotografia nel cervello del consumatore, che poi identifica il vino immediatamente attraverso l’etichetta.

Paolo Panerai

E siamo all’ultima domanda: la vasta esperienza in ambito editoriale ed economico-finanziario in quale modo ha contribuito alla creazione delle sue realtà vinicole?

L’esperienza editoriale è stata usata soltanto in termini di sapere come comunicare. Per scelta, non ho mai mischiato l’editoria con l’enologia; nel senso che l’editoria è una società quotata in Borsa e invece il vino è un fatto personale. In tutti gli eventi che facciamo, la gente si meraviglia: “Questo vino è tuo?” “No” dico, “non è il mio!”, perché non facciamo mai così; unica eccezione l’abbiamo fatta qualche tempo fa a Shanghai dove abbiamo presentato due iniziative per la Cina: un numero di Gentleman in cinese e il sistema d’informazione per i turisti cinesi, che saranno un fattore fondamentale per l’Italia, ma anche per il vino, che si chiama Eccellenza Italia, fatto con Xinhua, Agenzia Nuova China; in quella circostanza ci siamo trovati nella necessità di usare i nostri vini perché nel ristorante dell’albergo dove siamo andati, il Ritz-Carlton, avevano quelli al momento disponibili. Ma non cerchiamo mai di mischiare le due cose. Ovviamente c’è un travaso di esperienze dall’editoria, per quanto riguarda la comunicazione, che dà un vantaggio al vino. E dal mondo che il vino rappresenta, dalla filosofia che implicitamente contiene,  provengono valori anche per il settore editoriale.

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